Dallo schermo bianco, incolore delle ultime tele di Monica Ferrando è il dove puro a far apparire cose vicine e familiari isolate come se una pagina di luce abbagliante le avesse portate davanti a noi, sospendendole dallo spazio e dal tempo in cui naturalmente sono, eppure “così reali che un soffio di vento potrebbe di colpo farle sparire” (Giorgio Agamben, Studiolo, 2019). Chicchi di melagrana o grani di sale, chiodi alla rinfusa, un bicchiere di latte versato, briciole, una mistica ciotola, bucce di patata, la corda tesa, una spugna gettata su un pennello vivono delle loro ombre, dipinte sullo spazio cancellato, docili veicoli all’artista per inverare il mito originario della pittura che torna a essere skiagraphia, “scrittura d’ombra”.
Digital Michetti
Monica Ferrando, l’ombra e la luce
