15 Luglio 2015

Mostra omaggio a Gaetano Memmo, presentata da Carlo Fabrizio Carli

Ricordo di Gaetano Memmo

Carlo Fabrizio Carli

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(Interno -esterno)

Dell’ultrasessantennale attività artistica di Gaetano Memmo, che ha comprensibilmente avuto un suo sviluppo interno e ha quindi conosciuto momenti e interessi (anche tematici) diversi, ci si è impegnati di offrire, in questa rassegna, una scelta di opere esemplari e indicative a ricostruirne il lungo itinerario. Impegno non facile, se si tengono presenti i limiti forzatamente contenuti di una mostra omaggio (una ventina di opere) e la reperibilità nell’ambito di un diffuso collezionismo, che era transitato a lungo anche attraverso gallerie importanti e non locali, come la veronese Ghelfi.

Giusto tre lustri addietro, mi chiedevo quale fosse il referente qualificante della pittura di Memmo; e, più esattamente, il suo innesto vitale. Questo credo vada individuato nella cosiddetta “Nuova Figurazione”, un gruppo mai formalizzato, ma egualmente assai significativo, nell’ambito italiano tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio del decennio successivo, in continuità, ma anche in trascendimento, con la tradizione figurativa che, nel decennio precedente, si era espressa nelle coordinate del “Realismo Esistenziale”. Questo rilevamento, che vale a riconoscere una coerenza di percorso e di linguaggio, non deve però essere fraintesa, ove venisse interpretata come permanente ancoraggio dell’artista chietino a quella lontana, seppure realmente fondamentale, vicenda. Tutt’altro; e merita di essere subito precisato, a scanso di equivoci e di fraintendimenti, che i referenti visivi e l’inveramento stilistico e tecnico dell’immaginario pittorico di Gaetano Memmo hanno conosciuto nel tempo un notevolissimo processo evolutivo, circostanza cui si cercherà di rendere conto più avanti.

Memmo composizione 2

(Composizione 2)

Comunque sia, la riconnessione al contesto figurativo appare imprescindibile; con quanto essa di peculiarmente specifico comportava; vale a dire una reazione all’esperienza informale, ritenuta ormai esaurita. Si trattava, beninteso, di una reazione non sterilmente negativa, ma pure selettivamente ricettiva, per il fatto di assumere, nell’ambito del contesto figurale, stimoli e apporti di più stringente novità, in quanto a sintetismo di organizzazione compositiva, ma soprattutto per il trattamento e la stesura della pasta cromatica. Dietro c’era, naturalmente, una referenza teorica, e del maggior riguardo; vale a dire la riacquisizione, in termini di confronto con il vero fenomenico di natura delle stesse ricerche in direzione informale, proposta da Francesco Arcangeli, magari intento ad una lettura di Morlotti e dei suoi emiliani: Mandelli, Moreni, Padova. Non che si pretenda, con questo esordio, di delineare un sentiero ermeneutico di novità (a tale innesto avendo, ad esempio, già accennato Marcello Venturoli nella sua monografia del 1977); si è soltanto ritenuto opportuno sottolineare l’imprescindibilità della genealogia. Valga citare il sironiano Controluce, del 1977.

Memmo indietro

(Indietro)

L’adesione convinta ad una scelta figurale, connotata ed anzi irrobustita da suggestioni sintattiche di marca informale, riuscirà difatti fondamentale per Memmo, anche nella produzione più recente, e dunque non soltanto lungo l’intero corso degli anni Settanta, nel ciclo di dipinti a prevalente gamma cromatica azzurrata. E, a ben vedere, non riesce certo casuale, al riguardo, l’adozione di un termine proprio del linguaggio musicale, stante la calibratura realmente armonica di queste tele, delle quali citerò due esempi, da ritenere fortemente indicativi, ed anzi approdi ragguardevoli nell’intero itinerario dell’artista: La bandiera e Cesto con frutta, tele entrambe del 1977.

Nei quadri del nostro artista, appartenenti a tale stagione, è possibile trovare immagini, se non di esplicito impegno politico e civile, com’era invece ricorrente in altri interpreti della Nuova Figurazione, sicuramente di filtrata, ma pur sempre ben rilevabile, riconnessione al contesto sociale (Pescatori e Nello spazio, del 1970; Presenza allo specchio, 1973; Donna abruzzese e Giochi all’aperto, 1977). Come vi si potrà scorgere perfino qualche suggestione di marca Pop: Moto e manifesto, 1978.

Memmo Parapetto

(Parapetto)

Per accennare appena a certe inquietanti figure androginiche, che paiono riconnettersi addirittura all’indagine (una sorta di vero e proprio reportage pittorico) che, più o meno a cavallo tra i decenni Settanta e Ottanta del secolo scorso, andava portando avanti Renzo Vespignani sul tema pasoliniano dei ragazzi di vita della periferia romana. In effetti, il nome di Vespignani, come quelli di Cremonini e di Ferroni, sono stati evocati, non inopportunamente, sempre a patto di intenderli piuttosto che quali referenti culturali, alla stregua di compagni di strada nella ricerca neofigurale di Memmo; sodali – alla lettera – ed erano, oltre a Vespignani, un Calabria, un Gianquinto, un Guccione, nella comune frequentazione delle gallerie della (allora) mitica via Margutta.

Nel corso degli anni Ottanta, l’artista abruzzese, dispiegando una “vibratile sensibilità” (Gasbarrini), accede ad una dimensione figurale più ricercata, che talvolta tiene esplicitamente dei registri formali e cromatici del museo (si veda Composizione, ricca di echi del Manierismo fiorentino; Natura morta, sempre del 1986), ma che, più frequentemente, concerne l’evocazione di raffinate figure femminili su sfondi paesistici. Spetta proprio a questi ultimi, in particolare, e quasi in contrasto con la sofisticata finitura formale delle figure, interpretare quel più sintetico e finanche espressionistico linguaggio, di ormai lontana e circospetta discendenza informale.

Donna con Bambino

(Donna con Bambino)

 

In realtà, la convivenza di tale duplice polarità, riscontrabile nei dipinti di Memmo fin quasi a diventarne una sorta di cifra connotativa, non attiene soltanto ai registri specifici dell’elaborazione pittorica. Riguarda altresì l’associazione tra corpo umano (in particolare quello muliebre) e la natura; tra interno ed esterna atmosfericità (emblematica si configura a questo proposito una tela come Ritratto all’aperto, del 1990); tra presente e memoria; tra realtà e suggestione mitica; tra percezione retinica e onirismo. Proprio su quest’ultimo, altro nodo cruciale dell’attività di Memmo, converrà indagare, cominciando dal sacrosanto tributo al fascino femminile, all’eterno femminino, che le sue opere assolvono in forme di perentoria evidenza. Le giovani presenze muliebri che l’artista abruzzese evoca nelle sue tele si situano in atmosfere dal sapore, al limite, neosimbolista, attente a registrare gli stimoli del sex-appeal contemporaneo. Tra sensuali languidezze ed atmosfere del sogno; tra il delinearsi di irragiungibili lemuri della fantasia e le labili mitografie della società consumistica. Aleggia nei quadri di Memmo un sapore di edonismo paganeggiante, ma, al tempo stesso, di quotidianità tutta contemporanea: la carnalità delle sue donne ha il sapore sofisticato dell’erotismo odierno.

Memmo all'aperto

(All’aperto)

Di fronte a certe immagini di adolescenti, dall’acerbità ambigua e conturbante, si prova un sapore analogo a quello che ispirano le foto di David Hamilton o le sequenze di ritratti, dipinti o disegnati, della Michelina del grande Balthus. Sì, circola un’atmosfera di sogno nei quadri di Memmo, ma occorre convenire che si tratta di un sogno strettamente nutrito dalla linfa della realtà. Si sarà compreso, a questo punto, come Memmo sia un artista colto: emunctae naris, avrebbero detto i padri latini. Tra le sue referenze visive, nel gran pantheon del museo, sono stati evocati anche nomi soverchianti e francamente ingombranti. Di sicuro, gli estremi, fastosi splendori del Settecento veneziano debbono essere stati e rimasti parecchio congeniali al pittore abruzzese; basti pensare alle atmosfere di trionfale solarità dorata, in cui egli ambienta le sue inquadratura e immerge le sue ragazze in fiore.

Sarebbe stato possibile, dico ragionando in astratto, ipotizzare una convergenza di Memmo sulle coordinate culturali dell’Anacronismo e della Nuova Maniera; l’artista chietino, per sua fortuna, ha saputo sottrarsi, senza alcuna incertezza, ad un’affinità superficiale e solo apparente, che, nel suo caso, avrebbe condotto allo svisamento delle sue doti native e delle più peculiari ragioni poetiche. Memmo ha saputo, del resto, guardare proficuamente anche in altre direzioni: penso a Boldini, ai suoi memorabili guizzi di colore, la cui eredità sembra possibile avvertire, ad esempio, nel femminile Ritratto del 1970.

Occorre tener poi presente che Gaetano Memmo è andato esprimendo, fin dagli anni giovanili, una produzione disegnativa, cospicua tanto per qualità che per quantità. Per quanto molti tendano oggi a considerare, del tutto sbrigativamente, il disegno come un versante minore nell’attività di un artista (sia questi scultore o pittore), ciò non è affatto vero, dato che spetta proprio al disegno registrare l’attimo magico della prima concretizzazione di un’idea; della matita che comincia a scorrere sul foglio bianco. Così pure non si è mai dato il caso – con praticamente l’unica eccezione di Caravaggio – di grande artista, che non sia stato anche grande disegnatore. Nella fattispecie, Memmo si applica al disegno, ricorrendo perloppiù alla china, rafforzata da interventi ad acquerello e a gouache, dimostrando una felice scioltezza di segno e con invidiabile intuizione di sintesi formale.

Nell’ultimo ventennio, cospicue novità sopravvengono a caratterizzare il lavoro dell’artista. Le atmosfere solari lasciano, non di rado, il posto ad ambientazioni crepuscolari, più o meno fortemente (ed estesamente) accese da occulte fonti luminose, da ardimentosi controluce. Le precedenti tonalità dorate vengono sostituite da associazioni cromatiche di verdi bottiglia e gradazioni di grigi, spesso organizzate secondo stesure a fasce orizzontali. Queste sono ottenute mediante il ricorso a velature di diversi colori e rifuggono da definizioni descrittive: così può bastare una macchia bianca ad annunciare la presenza di una casa nel paesaggio. L’inserimento di figure femminili nel contesto paesistico, un tempo trionfale e tutto estroverso, si ripiega ora, per così dire, su sé stesso. Se prima si trattava di un’ostensione, adesso si può, piuttosto, parlare di celamento.

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(Scoperta)

Si è già accennato alla circostanza che una componente almeno  della pittura di Gaetano Memmo; uno almeno dei livelli interpretativi, abbiano valenza simbolica. E’ lecito quindi chiedersi cosa significhi questo mutamento di gamma cromatica. Allude forse all’infranto rapporto tra uomo e natura, dopo lo sfruttamento cieco e devastante delle risorse della Terra? Mai più sarà possibile accedere alle antiche, consolanti armonie, di cui si facevano poetici interpreti i miti classici. O prevalgono, invece, circostanze biografiche, attitudini esistenziali dell’artista? O l’ombra che gettano su di noi cuori di tenebra? Non si tratta di interrogativi oziosi, tanto più che, negli ultimi lustri, la svolta pittorica di Memmo si è andata ulteriormente  definendo. L’ambientazione paesistica ha avocato a sé l’intero interesse dell’artista, prescindendo, almeno nella maggioranza dei casi, dalla presenza umana. La natura – prati, canne, alberi, le riflettenti superfici di stagni o del mare lontano, il profilo ondulato dei colli – scalza l’antico dualismo, ed esige ora per sé l’intera scena della composizione pittorica. In parallelo, il lungo confronto tra la componente pittorica di matrice figurale e l’altra di ascendenza astrattivo-informale, inclina a favore della seconda. Ancora una volta, e a maggiore ragione, ci si chiede che significato Memmo ha inteso attribuire a questa eclissi della figura umana: un nostalgico rimpianto per l’inviolato grande libro della Natura? O la presa d’atto che il sogno della bellezza come armonia, che aveva sostenuto per molti anni le certezze e le speranze di Memmo, era ormai votato al fallimento o quanto meno all’eclissi?

Non sono, come si vede, interrogativi di ambito meramente estetico; sono domande che attengono piuttosto al registro delle scelte civili. Ma, per Memmo, formato in un clima culturale e in una vicenda d’arte in cui era fortemente avvertito il legame arte-vita e arte-società civile, questa presa di coscienza costituisce la conferma di una coerenza di percorso, il bilancio, infine, di una vita d’artista.

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(Settembre 2000)

307

(L’attesa)

288

(Pensieri)

Memmo nel Pesaggio

(Nel paesaggio)