In una meditazione malinconica su un unico tema, il naturalismo di Matteo Massagrande indaga il mondo sensibile rivelato dalla luce, che con i suoi riflessi entra ad accarezzare atmosfere di solitudine assorta e la rarefatta poesia che in esso si cela, componendo quadri che assumono una dimensione contemplativa ed eterna. Il silenzio è indispensabile per poter ricordare, nostalgia innescata dal ripensare oggetti, luoghi ‒ in abbandono, ormai disabitati, délabré, rimasti in disparte tra le pieghe del mondo, senza cedere alle lusinghe del progresso ‒ da un altro punto di vista, quello del tempo che lascia tracce del suo passaggio per chi sa coglierle. E allora la facciata di una casa greca con i suoi azzurri accesi si pone come il volto di una persona, due finestre diventano lo sguardo di un edificio. La sottile membrana fra interno ed esterno è la soglia ‒ una porta spalancata su quei pavimenti a scacchi bianchi e neri tirati in prospettiva verso ambienti che si susseguono in fuga ‒ a rivelare la sacralità legata all’irrompere della luce degli immensi cieli mediterranei. Proviene da terrazze sul mare, assolate nel mezzodì, lambite dalla brezza che fa stormir le fronde degli ombrosi, cadenti pergolati.