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Marzio Tamer, l’anima della natura

Animali dalla pelle ruvida, in pelliccia, con piume e penne variopinte, alberi contorti dalla corteccia scabra e dalle chiome mosse o rotte dal vento, paesaggi d’acqua solitamente anonimi, verisimili ma immaginati (placidi rivoli, nebbiose marine, coste frastagliate) e la superficie delle pietre sono i protagonisti degli acquerelli, delle tempere, degli olî del milanese Marzio Tamer che interpreta profondamente il mondo della natura traducendolo in una originale e propria visione “fotografica”, intrisa di poesia, che evoca sensazioni tattili e sollecita nel riguardante uno stupefacente coinvolgimento emotivo, un’esperienza comprensibile e appagante, la meraviglia. Egli gareggia con la perizia degli antichi Maestri nel riprodurre, con parossistica aderenza al vero il lustro su un tetto a punta di ferro ammaccato in montagna, i fili d’erba di una zolla, l’inafferrabile consistenza delle trasparenze della nebbia che evapora sul crinale di una collina, ma anche nella ricerca dell’armonia in un rigoroso impianto compositivo tanto nei panorami immersivi quanto nei tagli più ravvicinati che escludono allo sguardo ma prendono per incantamento visivo. Un pappagallino giallo emerge dal fondo scuro nella fulgida pienezza dei colori saturi e brillanti della sua livrea: Tamer sa cogliere soprattutto della vita animale l’essenza più intima, estraniando i soggetti rappresentati da ogni contesto, non più la gabbietta a parete del Cardellino di Fabritius ma il più sospeso degli spazi, il vuoto.