Luigi Spina ha costruito una suggestiva installazione componendo ritmati polittici con trentanove scatti in bianco e nero, mai esposti, tratti dalla serie Matres. L’anima di questa terra è il vecchio fango. Citando il Pasolini della struggente La Terra di Lavoro, egli perlustra così archeologicamente, antropologicamente, sociologicamente l’appartenenza alla sua Terra, la Campania felix. Indaga con il mezzo fotografico il rapporto che si instaura con i corpi scolpiti delle Madri e il territorio al quale appartengono, rivendicando un ruolo identitario per queste sculture che diventano epicentro del suo complesso racconto visivo. L’obiettivo è sedotto da queste statue magnetiche ma forse di più dalla pietra di cui sono fatte, il tufo, che nelle superfici irregolari serba tracce e segni dei blocchi della cava locale da cui è stato estratto. Contrappunto organico a questo mondo minerale è il fregio continuo composto da una sequenza di fotogrammi che restituisce l’infinitezza delle piantagioni di tabacco, canapa e granoturco, colture tipiche del paesaggio agricolo della zona, secondo il punto di vista ravvicinato di chi le ha attraversate nell’appagante fatica quotidiana del lavoro, per queste terre ormai purtroppo un’aspirazione utopica.
Le Madri rimangono dunque stentoree a evocare un tempo idilliaco in cui uomo e natura erano in simbiosi, un passato ormai offuscato dalle logiche industriali, dalla speculazione edilizia e dall’inquinamento che ha avvelenato la terra e la vita.