Struggenti sono le ampie tele che Luca Pignatelli compone in trittico per imprimervi le sue memorie dell’antico, ormai non più solo le nudità eroiche della classicità o i languidi volti muliebri ellenistici ricercati e meditati come esempio e paragone dell’arte. I relitti riletti delle rovine pompeiane marcano distesi divari tra frammenti scultorei iconici e immanenti, sono transiti archeologici che dilatano lo spazio, diaframmi percorsi nel profondo da un inattuale alito elegiaco; revocano, nella ripetizione, ogni dimensione temporale, proiettati sullo sfondo di un’illusione.
Le lacerazioni, le artificiali suture, le casuali macchie sui supporti scelti e sottratti alla distruzione, spesso poveri e a vista imperfetti, entrano in risonanza con le consumate effigi, sacre e invulnerabili in apparenza, che acquistano sotto la pelle, nel palinsesto delle stratificazioni, sembianze e anime sempre diverse, facendo riaffiorare nostalgicamente alla coscienza la consapevolezza della caducità della bellezza e della potenza umana.